“Noi” di Meltem Uldes, da neu [noi]

Al centro di questa performance c’è l’abito da sposa, simbolo universale di speranza, nuovi inizi, purezza e unione. Ma per milioni di donne, quel bianco non significa libertà: rappresenta identità spezzate, dipendenza economica, violenza, isolamento. Troppo spesso una donna passa dalla sfera della propria famiglia a quella del marito, perdendo voce e diritti. E la piaga delle spose bambine continua a togliere futuro, istruzione e salute a 640 milioni di ragazze nel mondo.

Foto di Şenay Boynudelik

La scintilla di questo lavoro nasce dalla storia di una ragazza turca di 15 anni che si faceva chiamare “Elma Şekeri” – Mela Caramellata. Sognava di diventare scrittrice e desiderava soltanto una caramella che non poteva permettersi. A 12 anni fu promessa a un cugino. Privata della scuola e della libertà, annunciò che si sarebbe tolta la vita la notte del matrimonio. Il suo grido — “Domani sarò una sposa. Domani sarò violentata” — scosse la Turchia. Fu salvata in extremis, diventando simbolo delle spose bambine e dei matrimoni forzati.

Foto di Şenay Boynudelik

Nella performance è presente anche la fascia rossa, oggi in Turchia simbolo di “verginità” e di controllo del corpo femminile. Qui diventa denuncia: l’idea che una sposa sia un corpo incartato come un pacco regalo, consegnato, valutato, giudicato. Un simbolo che ancora oggi alimenta violenza e “delitti d’onore”.


L’esperienza dal vivo
Ospiti di neu [noi], grazie al CESVOP e al Cirpe , tra le pareti che profumano di creatività e cura, sabato 29 novembre sono state lette le parole di Meltem Uldes e di Marika Gallo — gli stessi episodi che stiamo pubblicando sul blog — creando un ponte tra voce, arte e racconto.
Poi un gesto concreto di solidarietà: il Club Inner Wheel Qarinis ha donato un contributo per la realizzazione dell’area fitness allo Sperone.
Mentre Meltem Uldes dipingeva la gamba di Ivana, proseguendo la pittura dell’abito che raffigura tanti volti di donna, tutti diversi, il pubblico non è rimasto a guardare: ha partecipato, ha portato le proprie esperienze, ha condiviso ricordi di “fuitine”, riflessioni su scelte negate o conquistate, storie di diritti negati, e ferite ancora vive della cultura patriarcale sul corpo femminile. È diventato un cerchio di ascolto e testimonianza, un luogo in cui ognuno ha riconosciuto un pezzo di sé.

Foto di Şenay Boynudelik

Noi è un titolo radicale nella sua semplicità. Non parla di “lei”, della singola donna ferita, né di “loro”, un gruppo distante e nominabile. Noi è un pronome che non lascia scampo: ci include, ci chiama dentro, ci costringe a riconoscere che la violenza non è un altrove. È un titolo che scioglie i confini e ricorda che la libertà, come la violenza, è sempre una responsabilità collettiva.

Foto di Şenay Boynudelik

L’opera di Meltem Uldes amplifica questo messaggio: i volti dipinti sull’abito non sono ritratti isolati, ma un coro. Si guardano, si toccano, si sovrappongono. Sono donne che esistono solo nella relazione, e che nella relazione trovano forza. Così Noi diventa un invito a sentirsi parte di un’unica trama, vulnerabile e potente allo stesso tempo.

Foto di Şenay Boynudelik

Le parole di Ivana, mamma dell’associazione l’Arte di Crescere, che ha indossato l’abito durante la performance:
“La cosa che mi porto dentro è il contrasto: la rigidità della mia gamba, che ho tenuto immobile per tutto il tempo, e la delicatezza delle pennellate che scorrevano sopra di me.”

La pelle è il nostro primo linguaggio. Prima delle parole, prima dei gesti, è la superficie che ci racconta: arrossisce, trema, accoglie, respinge. È confine e insieme ponte. Nella performance, il corpo di Ivana — immobile, esposto, attraversato dal colore — diventa una pagina su cui l’arte scrive e da cui il pubblico legge.

Foto di Şenay Boynudelik

La delicatezza delle pennellate sulla sua gamba non era solo un gesto estetico: era una forma di comunicazione. La pelle trasmette ciò che spesso non sappiamo dire, rende visibile la memoria delle ferite e la possibilità della cura. È lì che si incontrano l’artista e la donna, il dolore e la bellezza, l’intimità e la denuncia. È lì che Noi diventa anche corpo, vulnerabile ma mai muto.

Meltem Uldes non porta questa ombra per pessimismo, ma per ottimismo: rendere visibile ciò che fa male significa aprire la strada al cambiamento. L’arte qui augura un mondo in cui la bellezza dell’abito da sposa abbia lo stesso significato per tutte.

Foto di Şenay Boynudelik

“Per mostrare da dove può venire la luce, dobbiamo prima rendere visibile l’ombra.”

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