10. L’ambivalenza del bianco

Il bianco non è mai innocente.

È un colore che abbaglia, che acceca, che rivela e nasconde nello stesso istante. Herman Melville lo sapeva bene: in Moby Dick, il bianco non è purezza, ma un enigma che inquieta. La balena è bianca, immensa, inafferrabile, e proprio quel bianco crea vertigine, come se dentro ci fosse un vuoto impossibile da nominare.

Anche il cigno è bianco: elegante, perfetto, quasi irreale. Ma sotto quella forma ideale c’è un animale che può spezzare un braccio con un colpo d’ala. Il bianco, ancora una volta, non consola — inquieta, perché non mantiene ciò che promette.

La luce stessa, che associamo all’idea di verità, è un paradosso. Illumina, ma nello stesso tempo cancella le ombre in cui ci sentiamo protetti. La luce ti espone, ti rende visibile a te e agli altri. È un bianco che non fa sconti.

E poi c’è l’abito da sposa.

Un simbolo millenario, carico di purezza, di promessa, di inizio. Eppure sotto quel bianco si agitano mille emozioni: paura, desiderio, perdita, rinascita. L’abito bianco è forse il simbolo più potente dell’ambivalenza del bianco: un confine sottile tra ciò che sogniamo e ciò da cui fuggiamo, tra la tradizione e la trasformazione, tra chi eravamo e chi stiamo per diventare.

Il bianco è così: non definisce, non chiude, non rassicura.

Il bianco apre.

A un vuoto. A una possibilità. A un mistero.

Ed è proprio da questo mistero che può nascere il cambiamento.

L’ambivalenza del bianco – Il bianco del latte materno

E poi c’è il bianco più primordiale di tutti: il bianco del latte materno.

Un bianco che non è promessa, ma presenza. Non è tradizione, ma origine. Non è un simbolo, è un legame.

Il latte è bianco, ma non ha nulla dell’assenza o del silenzio del bianco assoluto. È un bianco vivo, caldo, pieno. Un bianco che nutre e consola, che sostiene e trasforma. È il bianco in cui la vita si affida senza paura, l’unico bianco che non inganna.

E tuttavia, anche qui, il bianco porta con sé un’ambivalenza profonda.

Per molte donne è dono, potenza, continuità con tutte le madri venute prima.

Per altre è ferita, stanchezza, senso di inadeguatezza.

Per tutte è un passaggio: un incontro tra il corpo che offre e il corpo che riceve, tra il bisogno e la cura.

Il bianco del latte materno è la nostra prima appartenenza. È il nutrimento che crea relazione, che costruisce fiducia, che “scrive” dentro di noi la memoria dell’essere accolti.

Per questo, in un gruppo nato per sostenere l’allattamento, il bianco non è solo un colore:

è un patto.

Un patto tra donne che si riconoscono, che si aiutano, che si passano sapere, forza, presenza. Donne che sanno che ogni bianco — anche quello del latte — contiene luce e ombra, facilità e fatica, perfezione e imperfezione. Ma che, insieme, questo bianco diventa più grande, più forte, più possibile.

Il bianco del latte materno, allora, è la risposta più radicale all’ambivalenza del bianco:

non un enigma da temere, ma una vita da sostenere.

Il contenuto che stai leggendo fa parte del progetto Abiti RiBelli, iniziativa solidale dell’associazione L’Arte di Crescere ODV che valorizza oltre 100 abiti da sposa per finanziare la prima area fitness pubblica e gratuita del quartiere Sperone a Palermo.

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