✨ Io sono Luce
Il 7 dicembre, negli spazi di neu[nòi], grazie alla cura de L’Arte di Crescere, abbiamo vissuto uno dei momenti più intensi del viaggio di Abiti RiBelli: la presentazione di LUCE, l’opera di Domenico Pellegrino, ultimo abito di questa prima stagione di rivelazioni artistiche.
Ma l’abito non è stato soltanto mostrato:
è stato detto, vissuto, incarnato.
A indossarlo è stata Anna Sofia, figlia dell’artista e di Valentina Bruno, che ha donato al pubblico una lettura che ha trasformato l’abito in una presenza viva:
«Mi chiamo Luce…
Ho l’eredità di due donne che non ho mai incontrato: Rosalia e Agata…
Sono la montagna che custodisce e il fuoco che non arretra…
Risplendo perché qualcuno ha acceso in me un modo diverso di stare al mondo: libero, verticale, ribelle.»
In quel momento, LUCE ha smesso di essere un abito.
È diventata storia, eredità femminile, ponte tra generazioni.
Le figure di Rosalia e Agata, una che protegge e una che resiste, sono diventate la trama invisibile dell’opera.
La stampa — come ha colto Il Moderatore — ha descritto LUCE come un abito da sposa trasformato in opera sacra contemporanea, impreziosito da foglia oro e centrini, un inno alla forza femminile e alla capacità di illuminare la strada anche nei passaggi più complessi.
🌟 Luce che apre la strada

Questo evento ha chiuso il cerchio delle presentazioni singole dei nostri Abiti RiBelli.
Cento abiti che erano dimenticati, accantonati, nascosti negli armadi… ora sono opere, narrazioni, atti di riscatto.
Ogni filo ha riannodato una relazione.
Ogni gesto ha ricucito una crepa della città.
Abbiamo attraversato quartieri, associazioni, atelier, scuole, teatri.
Abbiamo ascoltato donne, artiste, famiglie, artigiane.
E ognuno dei cento abiti ha ricevuto un artista, una storia, una visione.
🎤 Il talk: dall’allattamento all’arte nelle scuole

Durante l’incontro, Monica Garraffa ha aperto il dialogo partendo da un tema fondativo: l’allattamento come gesto primario di cura, relazione, nutrimento — il primo abito che indossiamo nella vita, fatto di contatto e fiducia, negato alla maggior parte delle donne e dei bambini in Sicilia, ultima in Italia per tassi di allattamento.
Da lì, la conversazione con Domenico Pellegrino si è allargata alla sua ricerca artistica e al suo lavoro quotidiano come docente di una scuola secondaria di primo grado.
Pellegrino ha raccontato quanto la scuola sia un luogo fragile e potente allo stesso tempo, e quanto sia urgente portare l’arte tra i ragazzi:
✨ Non per farli diventare artisti,
ma per farli diventare umani,
capaci di guardare, immaginare, trasformare.
Il pubblico ha ascoltato in silenzio — un silenzio pieno, denso, generativo — come se in quel momento si stesse riconoscendo una verità collettiva:
che l’arte non è ornamento, ma educazione sentimentale,
e che liberare la creatività nelle scuole significa liberare futuro.
E poi, come sempre accade quando la vita decide di collaborare con la narrazione, c’è stato anche un piccolo aneddoto che ci ha fatto sorridere.
Il delegato del CISM (Comitato Italiano di Scienze Motorie, con cui ci auguriamo di collaborare per la realizzazione e gestione dell’area fitness) insieme a sua moglie — incinta di nove mesi, che frequenta i nostri incontri “Latte di Donna” alla Libreria Cirasa di Bagheria — non trovava il luogo dell’evento.
Cercavano, giravano, chiamavano al cellulare di Monica…
ma Monica, già immersa nel talk, stava raccontando di allattamento, di legami primari, di comunità, e il telefono continuava a vibrare mentre lei tesseva con le parole gli stessi fili che custodiamo in ogni nostro percorso.

Alla fine sono arrivati a talk già aperto, entrando quasi come personaggi teatrali che sbucano sulla scena al momento perfetto: un po’ spaesati, un po’ divertiti, ma subito accolti.
E proprio quel loro ingresso tardivo ma necessario — con una mamma quasi al termine della gravidanza che ci segue fedelmente nei nostri cerchi di cura — ha dato al pomeriggio un sapore ancora più simbolico: l’arte che incontra il corpo, la comunità che incontra la nascita, la ricerca sul movimento che incontra il gesto della cura.
🎭 Verso il 23 dicembre: il coro delle cento voci
Con LUCE si chiude una porta…
ma se ne apre una più grande.
Il 23 dicembre, sotto la direzione visionaria di Daniela Mangiacavallo, vedremo per la prima volta tutti e cento gli Abiti RiBelli insieme:
cento voci, cento corpi, cento storie che diventeranno spettacolo, rito, comunità.
Sarà il momento in cui la bellezza non resterà più oggetto, ma diventerà corale, incarnata, politica, necessaria.
Ierii Luce ha parlato.
Il 23 parleranno tutte.
Cento storie che risorgono, cento donne che camminano, cento bagliori di bellezza che trasformano la città.
E noi cammineremo con loro. ✨
…E ieri, ascoltando Anna Sofia dare voce a LUCE, ho sentito riannodarsi qualcosa di antico.
Io che mi firmo MarikaRikama proprio per ricordare a me stessa il filo — quel filo femmina che ricuce, protegge, tramanda — ieri l’ho ritrovato.
Nel modo in cui lei ha parlato dell’eredità di Rosalia e Agata.
Nel modo in cui l’abito è diventato racconto.
Nel modo in cui i centrini e l’oro della trama di Domenico Pellegrino hanno preso vita sulla sua pelle.
Ho capito che quel filo non era perduto: era solo in attesa.
E mentre le sue parole scendevano come una benedizione, ho sentito che tutto ciò che stiamo creando con Abiti RiBelli nasce da lì:
dal filo femmina che attraversa le generazioni,
che intreccia mani diverse,
che tiene insieme ciò che sembrava smarrito.
Ieri, grazie a lei, l’ho ritrovato.
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